29 nov 2007

da uno a due spriz

Dello spriz alla padovana son stato un buon amante, ultimamente meno per via che
in centro lo fanno i cinesi (i bar sono solo loro o quasi) e loro al posto del limone mettono il riso (o la salsa di soia, a richiesta) che non fa lo stesso.
negli anni d'oro invece c'erano diversi tipi di spriz a seconda del gestore, m sarà da parlarne in un altra occasione.

una premessa prima di iniziare. questa lista non verrà cambiata, ma forse sì: vedremo un domani come e se mi girerà.

da uno a due spriz:
comincio a essere lucido e sereno. a volte chi è di fronte a me dà segni che lo sta sentendo ma passo oltre; non sono io a ordinare. Grandi ambizioni, approccio manageriale alla comunicazione, interdipendente e proattiva.

da tre a quattro spriz:
più sereno ma meno lucido. A chi mi dice che li sente, rispondo: è il Bitter, che dà l'onda lunga e lo guardo bene negli occhi per impressionarlo. Sono io che ordino il prossimo. Se sono solo, cammino e guardo le vetrine sbirciando di soppiatto le commesse. In auto un po' troppo felino colle marce ma reffo che è un piacere.

Da cinque a sei spriz:

Spesso: svolta della serata, in peggio; detta anche "la butto in vacca".
Contatto visivo difficile e tutto sommato casuale. Ricordi di quando giocavo a calcio e propriocezione a livelli intensi. Primi giochetti a fare bolle di saliva, con scene degli astanti ancora vivi divertite e/o schifate. Se sono solo, cammino guardando ora insistentemente ora con sorriso inesistente le commesse. In macchina qualsiasi luce blu girevole provoca ansie e bestemmie.

Da sette a otto spriz
Vocalizzi non voluti su diverse consonanti, esse e pi soprattutto. Inciopedamenti dalle sillabe a salire.
Sguardo traslucido. Ricerca di chiavi, soldi e cellulare come preoccupazione dominante. In chiave dialettica sensi di colpa e irrisolti conflitti emergono con la forza di uno tsunami. Se sono solo guardo tutti e TUTTI mi guardano. Allora non guardo più nessuno.

Oltre
Ciò che meglio ti rappresenta è un immagine: una spugna rossa, tipo di quelle per farsi il bagno, rosso sangue rappreso ed in ognuno dei mille buchetti sulla superficie una cicca di tabacco mezza spenta

18 nov 2007

ma perché

Ma perché, vi chiederete, o miei 25, questi due post così tanto interessanti?
Perché desideri e pensieri non possono che annoiarsi l'un l'altro; ma i desideri si annoieranno sempre meno di ciò che i pensieri offrono, di quanto invece i pensieri, sempre, diciamolo, un po' volubili, si annoino nel dialogo coi desideri.

Ed è così che 7 anni e 1/2 di addestramento filosofico non mi permettono che solo alcune delle scelte che faccio. Ma non questa. E nemmeno l'insegnagli a pescare, per quanto meglio di tutto Aristotele forse.

Una coppia di quarantenni, ex-tutto probabilmente, mi hanno appena suonato al citofono per una stanza.
Scendo, non hanno un soldo.
Lui è stato portato alle 11 di ieri notte dal dormitorio in ambulanza fino al Pronto Soccorso per farsi vedere una ferita alla gamba ed una ulcera perforata; alle 3 il dottore li ha rimessi in strada; un infermiera un po' meno efficiente li ha tenuti in due brande fino alle 8.
Hanno mangiato dai preti e mi hanno suonato perché il dormitorio riapre alle 18 e, dio can, fa freddo.

Mi vergogno un po' a continuare...nel senso che il bene, all'interno di un genere, esiste veramente, come dice Aristotele.
Ma si dice in molti modi.

Ma basta, dio ......

Dunque rimane la vita intesa come un certo tipo di attività della parte razionale dell’anima (e di essa una parte è razionale in quanto è obbediente alla ragione, mentre l’altra lo è in quanto possiede la ragione, cioè pensa).
Poiché anche questa ha due sensi, bisogna considerare quella che è in atto, perché è essa che sembra essere chiamata vita nel senso più proprio.
Se è funzione dell’anima dell’uomo l’attività secondo ragione o, quanto meno, non senza ragione, e se diciamo che nell’ambito di un genere è identica la funzione di un individuo e quella di un individuo di valore, come del citaredo e del citaredo di valore, questo vale, dunque, in senso assoluto anche in tutti i casi, rimanendo aggiunta alla funzione l’eccellenza dovuta alla virtù:
infatti,
è proprio del citaredo suonare la cetra, e del citaredo di valore suonarla bene.

Se è così, se poniamo come funzione propria dell’uomo un certo tipo di vita (appunto questa attività dell’anima e le azioni accompagnate da ragione) e funzione propria dell’uomo di valore attuarle bene e perfettamente (ciascuna cosa sarà compiuta perfettamente se lo sarà secondo la sua virtù propria); se è così, il bene dell’uomo consiste in un’attività dell’anima secondo la sua virtù, e se le virtù sono più d’una, secondo la migliore e la più perfetta.

Ma bisogna aggiungere: in una vita compiuta. Infatti, una rondine non fa primavera, né un sol giorno: così un sol giorno o poco tempo non fanno nessuno beato o felice. Il bene, dunque, resti delineato in questo modo: è certo infatti che bisogna prima buttar giù un abbozzo e poi, in seguito, svilupparlo. Si può ritenere che chiunque è in grado di portare avanti e di delineare nei particolari gli elementi che si trovano bene impostati nell’abbozzo, e che il tempo conduce a ritrovarli o comunque è un buon aiuto; di qui sono derivati anche i progressi delle arti: chiunque infatti può aggiungere ciò che manca. (vd. Nietzsche, n.d.r.)

Bisogna ricordarsi anche di quello che si è già detto, cioè di non cercare la precisione allo stesso modo in tutte le cose, ma di cercarla in ciascun caso particolare secondo la materia che ne è il soggetto e per quel tanto che è proprio di quella determinata ricerca. (vd. su questo Freud e la sua metodologia per associazioni, sembrano un buon caso di eterogenesi dei fini, n.d.r.).

Infatti, il falegname e il geometra ricercano entrambi l’angolo retto, ma in maniera diversa: il primo lo ricerca per quel tanto che è utile alla sua opera, il secondo ne ricerca l’essenza o la differenza specifica, poiché è un uomo che contempla la verità. Alla stessa maniera bisogna procedere anche negli altri casi, affinché gli elementi accessori non soverchino l’opera principale.

E non bisogna ricercare la causa in tutte le cose in modo uguale, ma in alcune è sufficiente che venga messo adeguatamente in luce il fatto, come, per esempio, anche nel caso dei principi: il dato di fatto è un che di originario, cioè è un principio. Alcuni dei principi si giunge a vederli per induzione, altri per sensazione, altri mediante una specie di abitudine, altri ancora diversamente. Bisogna, dunque, sforzarsi di tener dietro a ciascun tipo di principio in conformità con la sua natura, e impegnarsi a definirlo adeguatamente.

I principi, infatti, hanno un gran peso sugli sviluppi successivi: si ammette comunemente che il principio costituisce più che la metà del tutto, cioè che per suo mezzo diventano chiare molte delle cose che si vanno cercando.

again !?!?!?

Poiché, dunque, la presente trattazione non mira alla contemplazione come le altre (infatti, noi ricerchiamo non per sapere che cosa è la virtù, bensì per diventare buoni, giacché altrimenti la nostra ricerca non avrebbe alcuna utilità), è necessario esaminare ciò che riguarda [30] le azioni, per sapere come dobbiamo compierle: esse, infatti, determinano anche la natura delle disposizioni morali, come abbiamo detto. Orbene, agire secondo la retta ragione è un principio comune e sia dato per ammesso: se ne parlerà in seguito, e si dirà sia che cos’è la retta ragione, sia in che modo si rapporta alle altre virtù. In via preliminare mettiamoci d’accordo sul punto seguente: ogni discorso sulle azioni da compiere deve essere fatto in maniera approssimativa e non con precisione rigorosa, secondo quanto dicemmo fin dall’inizio, che cioè si deve esigere che i discorsi si conformino alla materia di cui trattano. Nel campo delle azioni e di ciò che è utile non c’è nulla di stabile, come pure nel campo della salute. E se è tale la trattazione generale, precisione ancor minore ha la trattazione dei diversi tipi di casi particolari; infatti, essi non cadono sotto alcuna arte né sotto alcuna prescrizione tradizionale, ma bisogna sempre che sia proprio chi agisce che esamini ciò che è opportuno nella determinata circostanza, come avviene nel caso della medicina e dell’arte della navigazione.

Ma, benché la presente trattazione abbia tale carattere, pure dobbiamo sforzarci di dare il nostro contributo. Per prima cosa, dunque, bisogna considerare che tali cose per loro natura vengono distrutte dal difetto e dall’eccesso, come vediamo (giacché per cogliere ciò che non è manifesto bisogna valersi della testimonianza di ciò che è manifesto) nel caso della forza e della salute: infatti, sia troppi sia troppo pochi esercizi distruggono la forza, e similmente bevande e cibi in quantità eccessiva o insufficiente distruggono la salute, mentre la giusta proporzione la produce, l’accresce e la preserva. Così, dunque, avviene anche per la temperanza, il coraggio e le altre virtù. Infatti, colui che tutto fugge e teme e nulla sopporta diventa vile, mentre colui che non ha paura proprio di nulla ma va incontro ad ogni pericolo diventa temerario; similmente anche chi si gode ogni piacere e non se ne astiene da alcuno diventa intemperante, chi, invece, fugge ogni piacere, come i rustici, diventa un insensibile. Dunque, la temperanza ed il coraggio sono distrutti dall’eccesso e dal difetto, ma preservati dalla medietà. Ma non solo la nascita e l’accrescimento e la distruzione delle virtù hanno le stesse fonti e le stesse cause, bensì anche la loro attività consisterà nelle medesime azioni, poiché è così anche per tutto ciò che è più manifesto, come, per esempio, per la forza: essa, infatti, nasce dall’assunzione di un abbondante nutrimento e dal fatto di sottoporsi a molte fatiche, e questo lo può fare soprattutto l’uomo forte. Così è anche per le virtù: è con l’astenerci dai piaceri che diventiamo temperanti, ed è quando siamo divenuti tali che siamo massimamente in grado di astenercene. E similmente anche per il coraggio: è con l’abitudine a sprezzare i pericoli e ad affrontarli che diventiamo coraggiosi, ed è quando siamo divenuti coraggiosi che siamo massimamente in grado di affrontare i pericoli.


Aristotele, figlio di medico in Stagira, Etica Nichomachea, Libro II, 1004 a - 1104 b.